Alienazioni padane #2
Scivola la notte, Jusy che di cognome fa “con la Y greca” mi tiene la mano, cerca di descrivermi carri che non vedo indicando il cielo d’agosto, mi chiede data e ora della mia nascita, me ne invento una al momento graziandomi due anni, pare che questi numeri abbiano a che fare con le luci del cielo. Ne dubito, ma non conviene fare il cinico, la serata butta bene, ho trentaquattro anni e sono ancora vivo. La novità è che anche gli altri se ne accorgono.
A venti ero morto, a venti pensavo che non valesse davvero la pena agitarsi tanto. Poi i videoclips di Videomusic mi avevano dato da pensare.
Le ballerine che si agitano nei videoclips di Videomusic esistono?
Le ballerine che si agitano nei videoclips di Videomusic fottono?
Chi si fotte le ballerine che si vedono nei videoclips di Videomusic?
Non era più tempo di poeti maledetti, cinema francese o di domande più profonde.
Mi ero anche iscritto a una palestra, sbagliando comunque la prima mossa, l’altezza, sotto la media, non mi avrebbe aiutato comunque. A vent’anni si era deciso che i Simple Minds e i Depeche Mode erano merda, il tempo ci avrebbe dato ragione, ma non avremmo avuto giustizia.
A vent’anni si era intransigenti, si masticavano Weather Report e Tom Waits che non aveva ancora la voce roca ed era un bluesman come tanti, si leggevano Bukowsky e Tondelli, si prendevano sostanze che facevano stare tranquilli e composti. Come se non lo fossimo già abbastanza. Le donne preferivano tipi più solari, ascoltavano “Don’t don’t don’t don’t …. don’t you” e ballavano dentro jeans strettissimi e maglioni di lana grossa.
Alcune.
Altre vestivano da Pamplemousse, coperte da lunghi abiti neri, facce ostentatamente pallide, labbra viola. Molto nero sotto gli occhi, capelli violentati da Orea Malià il sabato pomeriggio.
Comunque non cagavano uguale.
Con Jusy sto facendo la splendida parte di quello che ne ha viste de tutti i colori, che ha visto compagni di trincea cadergli di fianco, falciati da un virus vendicativo e bacchettone, mentre lei prendeva lezioni private di matematica, perché il sette abbassava colpevolmente la media. Cerco di non farglielo pesare.
Sono sopravvissuto con qualche cicatrice e qualche ruga di circostanza, una è scavata sotto la guancia sinistra e scende di due centimetri spostata dalla bocca, ci tengo molto, mi disegna una specie di mascellone anche se il mio viso si raccoglie in un mento troppo stretto e poco virile. La sto raccontando anche a me stesso, omettendo paranoie e disperazione di quegli anni. Certo prendere la maturità in un istituto professionale frequentato da cervelli sterili, trovarsi la fidanzatina tra le ragazze che frequentano il professionale per stenodattilografe e che aspettano la corriera starnazzando sotto la pensilina, uscire il pomeriggio per fare le volate in motorino su via Podgora, beh quello erano capaci tutti. Jusy dice di sì con la testa, ha rimosso la felicità per quel sessanta alla maturità allo scientifico di Budrio, continua ad assentire, il diamante fermo alla base del collo, mentre si passa le dita lungo la catenina d’oro bianco dovrebbe aiutarla a ricordare qualcosa.
Nulla, resettato tutto. La serata butta davvero bene.
Racconto di quella volta che mi ero fatto al buio più completo, beccando chissà come la vena, lungo una viuzza di Amsterdam, scendendo tre scalini di un seminterrato, con un vecchiaccio che mi sbraitava da una finestra in una lingua tagliente e spigolosa. Il vecchio mi era ostile e mi aveva anche tirato di sotto qualcosa, non ricordo bene, forse solo dell’acqua. Con Jusy con la Y greca non entro nel dettaglio riguardo la pacca che ti avvolge la testa e l’amaro che ti sale in gola: per dimostrarmi di aver capito magari direbbe che sì, è come le medicine, quelle efficaci in genere sono sgradevolmente amare. Ecco appunto, non avrebbe capito un cazzo.
Jusy è tenera, beve tutto, si stiracchia stringendosi le tette coi gomiti, un’altra botta mi avvolge la testa, ma il sapore che la segue come un tuono dopo un fulmine è così dolce…
Jusy ormai si vergogna apertamente della sua maturità allo scientifico, delle vasche su e giù per Via Indipendenza, di quella volta che ha sfidato le nebbie padane per raggiungere una discoteca vicino a Ferrara. Non ricorda il nome della disco, ma c’era Ridge di Beautiful.
Io allora stavo davvero male, Jusy pensava di stare bene. Oggi tutto si confonde, sono ancora vivo, come accennavo prima, ho un giubbotto di pelle invecchiata di Andrea Del Carlo comprato da Tasmania a Ferrara, jeans foglie di tè di Daniele Alessandrini, maglia bianca a manica lunga stropicciata bordata di nero ancora di Daniele Alessandrini comprati da Vanguard, cinquanta metri prima di Tasmania però dall’altra parte di Via Bersaglieri del Po.
La maglia riporta nell’etichetta : Questo capo viene trattato a mano; sono quindi da considerarsi regolari imperfezioni ed eventuali diversità tra un capo e l’altro che rientrano nella filosofia del risultato ottenuto. Grazie. Franca non se l’è bevuta, è una maglia da frocetto, il suo commento.
Jusy non ha commentato il mio abbigliamento. Il suo abbigliamento è un inutile accozzaglia assemblata alla meglio da PRO-MOD, consigliata da amiche distratte il sabato pomeriggio, le sue tette e il suo culo si fanno comunque perdonare la completa mancanza di buon gusto.
Non sono ingrassato, eroina e sport agonistico non me l’hanno consentito. Non ero mai stato un bel maschio, nemmeno uno carino, ma non mi sono sgretolato come certe fichette di ragioneria che non mi consideravano e oggi sembrano mia zia.
Piccoli sogni in abito blu
Spicchio di luna ormai non navigo più
da molto tempo ormai
in quelle stesse acque tempestose
dove tu mi trovasti tanto male in arnese
da scappare via
no non voglio abbandonarmi ai ricordi
tuttavia….
Sergio Caputo il più grande poeta italiano del novecento prende ad aleggiare in queste pagine, mi da conforto, ma mi stringe il cuore. Sento che tornerà a rigurgiti anche nelle prossime pagine certo di farvi cosa gradita.
Uno dei ragazzi più popolari di allora lo vedo ancora passando davanti al bar principale del mio paese in compagnia di altri notabili:raccontano aneddoti inghiottiti nei loro Woolrich e Belstaff tutti uguali, lui non è cambiato molto, ha una macchina da settanta milioni e organizza le gite con lo sci club.
Strizzo gli occhietti e stringo forte il volante. Do gas.
Avevano visto giusto le fichette, mica sceme.
Le racconto che per me le auto sono tutte uguali, confondo ancora la Tipo con la Bravo, il tuo fidanzato ha una Golf? Turbo. Diesel. Va in palestra, vero? Jusy con la Y greca accusa il colpo per la divinità evocata e per le ipotesi azzeccate. Tutti i lunedì Carlo non esce perché deve seguire tutti i processi alle partite. Almeno non va da un’altra, mi dice, io penso che sarebbe meglio, anche per lei. E’ molto, molto carino e lei gli vuole molto, molto bene. Non parlano tanto, dopo cinque anni ci si legge nel pensiero. Sta riconsiderando la sua intera esistenza rimescolando un beverone fruttato con un lungo stecchino che trafigge chicchi d’uva, spicchi di mandarino, fettine di kiwi e la sua dignità.
Sta riconsiderando anche il mutuo per la casa a metà con Carlo, io la inviterei a riconsiderare anche le sue camicie azzurre e gialline ben infilate nei pantaloni con le pences e la canottiera bianca che si intravede chiaramente sotto, tengo per me anche le polo pastello e i jeans da quarantamila.
Sì sì, le piacerebbe andare a teatro, ma come si fa a sapere gli spettacoli che ci sono? Una volta con Carlo era andata al Consorziale di Budrio, c’era un ex comico che si vergognava di essere stato un comico e adesso si era messo a fare testi molto seri in teatro dopo aver rifiutato un sacco di soldi per condurre un varietà televisivo e s’incazzava tantissimo con i critici che non consideravano il suo nuovo impegno e le sue nuove esigenze di attore. Quasi tutto il pubblico era uscito deluso mormorando alcuni suoi celebri tormentoni che adesso rinnegava, anche Carlo era infastidito perché lui il sabato voleva ridere, a lei invece non era dispiaciuto: le piacciono anche le cose drammatiche. Stella che sei… stellina bella…
Il Poco Loco si autodefinisce caraibico, il menu, però, non sa rinunciare ai tortelli di ricotta, burro e salvia in soccorso dell’esotico. Il ragù sarebbe arroganza pura, troppo anche per loro.
Tenera Jusy. Jusy burro e salvia.
Con Carlo scopa il martedì e il giovedì, ho sprecato tempo in ricerche e appostamenti, potevo immaginarlo. Il venerdì a ballare con le amiche fidate, il sabato al cinema con Carlo a Ferrara che si parcheggia bene, solo film americani, domenica pizza. Con la cannuccia succhio solo l’acqua dei cubetti di ghiaccio che si sono in parte sciolti, d’altra parte il mohito era totalmente mancante di alcol, sto pensando a un programmino per Jusy, un mercoledì diverso. Tenera Jusy con la Y greca, burro e salvia. E mohito annacquato.
Le racconto anche di quella volta che con Riga e Augusto tornavamo dal quartiere Pilastro dove avevamo comprato la TERRA DI PIERO, un orrendo libanese giallo che doveva aver impastato non so con quali ingredienti la madre stessa di questo Piero, pusher sfigatissimo, che sarebbe stato sicuramente spazzato via dall’ondata magrebina o dall’aids. Assomigliava tantissimo all’impasto della zuppa imperiale e gli effetti narcotici erano più o meno gli stessi, ma un tic nervoso guidato da non so checcazzo di automatismi ci portava puntualmente ogni sera a mangiarci i trentacinque chilometri che ci separavano dal Pilastro sulla FIAT 131 giallino improbabile per acquistare LA STECCAEMEZZO di zuppa imperiale dall’incredulo Piero che ringraziava anche a nome della madre. Gli serravamo nella mano quindici carte stropicciate facendo vento dal gran giramento di teste a trecentossessantagradi, come in un film americano su Cosa Nostra.
Riga era da poco stato mollato dalla Vichi e cercava risposte da noi ai suoi paranoici monologhi sulle ragioni che avevano spinto una ragazzina pulita, quasi intelligente e molto carina a lasciare un tossico, piagnucolone, egocentrico, nullafacente, mammone come lui.
Era evidente che la domanda era mal posta e comunque noi ce ne sbattevamo le palle girando gli occhi verso il cielo tutti presi a inseguire i nostri fantasmi personali.
Unica nota positiva: un nome di donna con cui battezzare ogni singola fiala di morfina spaccata e succhiata con rabbia e perizia, centinaia di Vichi su per la vena grossa del braccio a giustificare giovani esistenze andate a puttane.
Lo specchietto della nostra 131era andato in frantumi incrociando la vettura che giungeva sull’altra carreggiata, Augusto era sicuro che Riga avesse sterzato apposta verso sinistra per porre fine alle sue pene d’amore e di conseguenza anche alle nostre, figurarsi che a me al tempo la fica non mi sfiorava nemmeno la punta più esterna del cervello.
Io ero sdraiato nel sedile dietro e non avevo opinioni a riguardo, Augusto aveva fatto accostare l’auto senza nemmeno scendere del tutto dalla sede stradale e aveva preso a colpire Riga con le mani mezze aperte e mezze chiuse che non aveva deciso neanche lui se eran sberle o cazzotti, ma facevan sanguinar le labbra che si laceravano contro i denti.
Idiota. Ci andasse da solo all’inferno senza la nostra compagnia.
Dopo poco si erano abbracciati in lacrime come due zie al funerale dei mariti e mi era toccato rollare a me le canne perché avevano tutte le mani impataccate di sangue e lacrime. Per poco non mi era toccato imboccarli.
Jusy era sinceramente commossa e mi stava raccontando di una sua amica qualunque mollata da un cazzone qualunque che beveva molto in discoteca fino a diventare molesto e inopportuno, l’aneddoto non era all’altezza e la sua cantilena monotona non stimolava di certo la mia attenzione e io avevo smesso ben presto di ascoltarla fissandole le tette con i capezzoli in estensione libera. Bacino tra la guancia e l’orecchio destro, terra di nessuno, Jusy con la Y greca aveva lasciato la Y10 nel parcheggio del Centro Nova, aspetto a mettere la prima, aspetto che ripeschi la chiave dalla Mandarina.
Una testa di capelli con un taglio fuori dal tempo(lunghezza media ai lati, un po’ di ciuffo davanti e lunghi dietro) era emersa da una Tipo grigia, o da una Bravo, le confondo, aveva squadrato prima Jusy che scavava nella borsa nervosamente appoggiata al cofano della Y10, poi i nostri occhi si erano incrociati, potresti diventare un teste chiave in qualche indagine futura, te la senti, la vita ticambia, non è un gioco, bisogna chiedere le ferie o un cambio turno per le udienze. Non avevo distolto lo sguardo, aveva rimesso il suo brutto taglio tra due discrete tette, quale migliore oblio.
Verso Villanova messaggino ALE.UNA BELLA SERATA. A Castenaso per pigiare il tasto giusto per poco non esco di strada. JUSY.SEI DAVVERO CARINO. Tra una parola e l’altra dei cuoricini. Quante opzioni, quante funzioni. Mi spiego perché ci sono telefonini che costano oltre un milione.