ANDREA LONGO 800 METRI FA*

Di ricordi importanti Andrea Longo classe ’75, nato a Piove di Sacco, targato Fiamme Oro, ne ha tanti e sono ancora vivi. Al telefono mi racconta che si ricorda perfino gli odori di un campo di riscaldamento prima di una grande finale olimpica, quei tic, quei piccoli atti scaramantici per domare l’ansia o l’euforia. Longo era uno che voleva battere tutti e nel mirino aveva il più grande del suo tempo: il sublime Wilson Kipketer, keniano con passaporto danese che al tempo dominava i due giri di pista con tanto di primato mondiale. Se devi sognare almeno sogna in grande, sogna il massimo, e in questa gara nessuno è mai battuto, dopo l’ultima curva può succedere di tutto, prodigiose progressioni e sprofondamenti crudeli.
Tornando ai numeri, quelli di Longo sono impressionanti: detiene il Record italiano con cronometraggio “elettrico”,1’43”74, in una sorta di condivisione con quello manuale di Marcello Fiasconaro che al tempo fu record del mondo ottenuto in una serata magica all’Arena di Milano del 1973, ma a raccontarci di chi stiamo parlando chiamo a testimoniare dieci risultati sotto il muro dell’1’45, il più alto è 1’44”59 a Bruxelles nel 1999, e mi piace anche ricordare i mille metri corsi in 2’15” 83, distanza cara ad ogni amatore, l’unità di misura di riferimento di sempre.

Longo ad oggi è stato l’ultimo grande ottocentista italiano di prima fascia internazionale e ha danzato negli anni tra un secolo e l’altro, dal 1996 al 2006, con una regolarità ad alti livelli rara, anche se forse la sua giornata perfetta non l’ha mai vissuta. La maledetta medaglia olimpica o mondiale non è mai arrivata e questo ti fa un po’ scomparire dalla memoria dei più distratti, non certo dalla grande Storia di questo sport. Come è vero che forse il picco di forma della vita lo aveva raggiunto dopo i Giochi olimpici di Sidney del 2000 ma il calendario non prevedeva grossi appuntamenti per limare ancora il personale.

Ma ora occorre fare un passo indietro: 15 anni viene notato in una campestre provinciale da Fabio Scapin che sarà il suo unico allenatore, arriva tra gli ultimi; eppure, Scapin magicamente intuisce subito il potenziale e la distanza su cui puntare. I progressi sono repentini, già da secondo anno junior vale 1’48 e non si ferma più. Ma nulla arriva a caso. È stato da subito un atto di fede reciproco, pochi credevano nella scommessa, troppo alto Andrea, pesante, dinoccolato, disarticolato, macchinoso nell’incedere, saltella quasi, perché non farne un cestista? Ma tanto è stato il lavoro tecnico, estenuante per un ragazzo così giovane, un lavoro su coordinazione psicofisica, una costruzione fatta anche di sperimentazione, raccolta dati e qualche azzardo. Scapin pretende il massimo della concentrazione durante gli esercizi di tecnica, ma sa rendere le sedute varie, quasi divertenti e inizia a mettere le basi per quello che codificherà più avanti come “lavoro intermittente”, metodica che presenterà in vari convegni. È un innovatore e ha tra le mani un atleta prezioso. Allenare a questi livelli diventa una missione totalizzante, Fabio Scapin mette in gioco la sua intera esistenza, Andrea ha fiducia ed è disposto a dare tutto, i due sono ancora amici, a dividerli in fondo sono solo nove anni, quando arrivano alla prima finale olimpica Scapin ha appena 34 anni, è il più giovane allenatore arrivato a tale palcoscenico. Certo, aspetti tecnici, psicologici, ma Andrea sopporta carichi di lavoro incredibili per quantità e intensità, ma senza scossoni, il miglioramento è costante, fatale che arrivi anche qualche infortunio, comunque la direzione si rivela quella giusta. Nessun altro ottocentista italiano probabilmente ha sopportato volumi si carico di questo genere negli ultimi vent’anni.
Gli ottocento sono una distanza di confine tra la velocità e la resistenza, difficili da allenare e interpretare, si tratta di ottenere la massima potenza dal sistema aerobico, forse l’atto umano più estremo per quanto riguarda l’accumulo di acido lattico, se i quattrocento sono la gara spacca cuore allora dobbiamo pensare che la natura avrebbe dovuto dotarci di due cuori distribuiti simmetricamente, l’aspetto mentale è comunque determinate, l’approccio al grande evento: a parte qualche fuoriclasse i partecipanti a una finale olimpica in qualche modo, pur percorrendo strade diverse, come valore si equivalgono e le decisioni tattiche vendono decise in frazioni di secondo.
Già nel ’96 Longo è quinto agli Europei indoor di Stoccolma, l’anno seguente è Campione europeo under 23 alla prima edizione, e affronta i suoi primi Mondiali ad Atene, alla fine della carriera saranno tre, quinto in finale nel 2003 a Saint Denis come miglior risultato, mentre le partecipazioni ai Giochi olimpici saranno due: Sidney 2000 e Atene 2004. È di quegli anni “Ogni maledetta domenica” di Oliver Stone con il più indimenticabile allenatore della storia del cinema, chissà se Scapin in qualche momento ha cercato di rifarsi al Al Pacino nel motivare il suo quarterback.

Particolarmente dolorosa l’esperienza di Sidney, arriva in forma strepitosa, la pressione è tanta, le speranze anche, nel rettilineo finale ha tutte le carte buone, ma sembra perdere l’attimo e arriva una squalifica per un presunto danneggiamento su un altro atleta nelle fasi della bagarre classica di molti ottocento, mentre ad Atene si fermerà alle qualificazioni in un anno difficile, Per quanto riguarda i Campionati europei sono due settimi posti, Budapest ’98 e Göteborg 2006. Segue una ridda di meeting internazionali affrontati sempre da protagonista, indimenticabile Rieti 2000 nel quale ottiene il record italiano “elettrico” vincendo la gara davanti al meglio degli ottocentisti del momento.
Mi piace anche capire quello che succede fuori dal palcoscenico, i giorni che preparano questi grandi appuntamenti e Andrea mi racconta di allenamenti difficili da comprendere, come tre quattrocento metri a Brisbane prima di Sidney corsi insieme all’amico velocista Alessandro Attene, un lavoro di qualità chiuso con questa serie impressionante: 49’80, 48’70, 46’60. Longo pur con una struttura fisica possente (191cm x 85kg) era in grado di correre dieci chilometri di medio sul piede dei 32 minuti, come ricordi indelebili sono anche delle ripetute in salita di corto veloce affrontate in uno stage in Sudafrica nel 2004 con un esile britannico che a prima vista sembrava quasi fragile e inadeguato, tale Mo Farah. Capita di aggregarsi ai maratoneti in raduno in Namibia, magari i venti chilometri di medio non li può fare tutti con Stefano Baldini, ma il Professor Gigliotti gli dà qualche strappo in auto e tre tremila “allegri” vengono…
A questi livelli tutto è estremo, si gioca forte, al limite, il prezzo a volte è alto: tendiniti all’arco plantare, al tallone, borsiti all’inserzione del tendine d’Achille, contratture, e stiramenti un po’ ovunque, un paio di distorsioni importanti… e la carriera di Andrea Longo ha una brutta botta: nel 2001 a causa di un integratore inquinato viene trovato positivo a un test antidoping, è un trauma emotivo che scava in profondità, la Federazione internazionale riconosce la non intenzionalità e nel 2003 è di nuovo in pista. La determinazione è tanta, basta pensare che nel 2004 a Saint Moritz mette a referto due serie classiche, un 500 metri, un 300 metri e un 200 metri, (60’8, 35’2, 22’5, 63’2, 35, 22’2), un lavoro di rifinizione eseguito insieme al sudafricano Hezekiel Sepeng argento olimpicoa Sidney. Ma squalifica avvertita come ingiusta è una ferita dolorosa, e con le cicatrici dell’anima i guai fisici sembrano moltiplicarsi, eppure incredibilmente guadagna la qualificazione ai Mondiali di Saint Denis e quel quinto posto in finale vale una medaglia, è la fine di un incubo, di notti insonni, la voglia di gridare al mondo la propria presenza, credo sia il vero capolavoro del duo Longo-Scapin.

Longo non ha mai vissuto l’amore per l’atletica come un fatto strettamente personale, ermetico, tanti sono stati i contatti umani, le amicizie vere, si è sempre prodigato anche per altri, ha logisticamente organizzato uno stage per atleti di alto livello come l’etiope Genzebe Dibaba (attuale primatista mondiale dei 1500metri) e Ayanleh Souleiman (gibutiano da1’42″97 negli 800 metri e 3’29″58 nei 1500 metri)eper la nazionale di mezzofondo del Quatar, ragazzi che avevano bisogno di una base in Europa, una frequentazione quotidiana in pista e fuori che dura quasi un mese, come un mese durano i festeggiamenti per le nozze del keniano Wilfred Bungei nel 2005 nella Rift Valley, Andrea si adegua senza problemi alla vita quotidiana di Wilfred che tre anni dopo sarà Campione olimpico a Pechino, normale pascolare le mucche, bere l’acqua tirata su da un pozzo, senza farsi mancare naturalmente gli allenamenti nella savana, mentre a fine carriera ha organizzato un ritiro in Sudafrica con l’ausilio e l’aiuto economico della comunità italiana residente alla quale parteciparono atleti come Maurizio Bobbato e Margherita Magnani, si alloggiava all’interno di una casa di riposo per italiani in Sudafrica, e l’impegno sportivo si allargava ad attività di volontariato nelle zone più povere di Johannesburg.
Dal 2014 al 2015 ha allenato la quattrocentista spagnola di origine cubana Indira Terrero che curiosamente sarà bronzo agli Europei di Zurigo nella gara dominata da un’altra cubana, ma con passaporto italiano, Libania Grenot, e argento agli Euroindoor di Praga, e nei due anni ha seguito alcuni atleti della nazionale ugandese al Tuscany Camp di Giuseppe Giambrone, nel gruppo spiccava Leni Shida, quattrocentista argento alle Universiadi di Napoli nel 2019.

Andrea Longo tra sport e sociale ha sempre rigato dritto, senza una sbavatura? Quasi, o almeno se si esclude una “evasione” dal raduno preolimpico a Brisbane, in Australia, con tanto di manomissione del sistema d’allarme per fare una serata di svago in città, compagni di fuga erano Giuseppe Maffei valente siepista, Giuseppe Gibilisco, astista oro ai Mondiali di Saint Denis e il fisioterapista Daniele Parazza: la confessione non può far danno in quanto il “reato” è di certo caduto in prescrizione, ovviamente la brigata in tuta della nazionale italiana avrà di certo attirato la curiosità e la simpatia dei nottambuli locali… rientrati al mattino, nessuno sembrava sorpreso nel vederli a passeggio nel campus, nessuno avrebbe intuito la notte brava. A Gibilisco qualche anno dopo lascia da pagare due colazioni consumate sul terrazzo di uno degli alberghi più lussuosi di Montecarlo, ottanta euro che il saltatore con l’asta ancora non dimentica.
Una vita pienissima densa di incontri e di emozioni, mai banale, ripetitiva, magari la cosa più difficile non è tanto infilare il corridoio giusto in una finale olimpica, quanto rientrare a una vita normale, da “civile”. Andrea Longo forte di due lauree in Scienze sociali e Scienze politiche con una tesi sul Sudafrica moderno oggi lavora nella Polizia di frontiera all’Aeroporto Marco Polo di Venezia, attività che pure non lascia spazio alla noia, e in fondo dall’atletica leggera un vero e proprio distacco non ci sarà mai, mentre aspetta con curiosità di vedere un altro ottocentista italiano con i suoi cavalli motore. Al telefono mi dice di avere molta fiducia in Catalin Tecuceanu il ragazzo di origine rumena diventato da poco cittadino italiano. Vedremo, il tempo è dalla sua.
*Articolo già uscito sul mensile Correre, foto di Pierluigi Benini